QUANDO HO DIRITTO AGLI ALIMENTI?
Gli “alimenti” e “l’assegno di mantenimento” vengono spesso confusi, ma si tratta di due istituti completamente differenti. L’assegno alimentare (detto in gergo “gli alimenti”) è una corresponsione periodica in denaro che spetta ad alcune categorie di parenti elencate nell’articolo 433 c.c.: fratelli, generi, nuore, suoceri oltre a coniuge, figli etc., qualora cadano in stato di indigenza ed è posto a carico di altri parenti identificati nello stesso articolo. L’assegno alimentare è di bassa entità e serve a consentire la sola sussistenza in vita del parente indigente. Esso è disciplinato dal XIII titolo del primo libro del Codice Civile, non dalla legge sulla separazione non avendo alcuna inerenza con essa.
L’assegno di mantenimento - la Cassazione è arrivata a considerare gli ex coniugi come “persone singole” e non più come parte di “qualcosa che è stato”, e ha stabilito che l’assegno di mantenimento verrà riconosciuto soltanto laddove chi lo richieda non sia in grado di procurarsi i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento
L’assegno di mantenimento - pertanto, ha un'altra entità rispetto all’assegno alimentare (vedi di seguito), ha altri scopi ed è dovuto sulla base di differenti presupposti. (La Legge sulla separazione fa un solo riferimento all’assegno alimentare prevedendo l’ipotesi di un coniuge separato con addebito e pertanto privo del diritto all’assegno di mantenimento, che versi in stato di indigenza, al quale sono dovuti gli alimenti) art. 156 c.c.coma III.
QUANDO HO DIRITTO AD UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I MIEI FIGLI?
L’assegno di mantenimento per i figli è un diritto indisponibile e non può essere rinunciato per patto tra i genitori. La disciplina dell’assegno per concorrere al mantenimento della prole è rimessa a disposizioni di legge non derogabili che prevedono l’obbligo di perequare le risorse dei genitori allo scopo di metterli sempre in condizioni di mantenere la prole nel caso si separino. Pertanto, ove occorra perequare le risorse dei coniugi per gli scopi detti, un assegno per concorrere al mantenimento della prole deve essere necessariamente previsto nelle pattuizioni con le quali i coniugi stessi regolano i propri rapporti nella separazione consensuale e viene sempre disposto dal giudice nella separazione giudiziale. Per verificare che i coniugi abbiano rispettato quest’obbligo, in tutte le procedure di separazione consensuale le pattuizioni con cui i coniugi hanno stabilito la misura delle risorse patrimoniali che devono essere volte al mantenimento dei figli dopo la separazione, vengono esaminate da un giudice. Se il giudice non le ritiene sufficienti (avuto riguardo alle risorse della famiglia), nessuna delle procedure di separazione consensuale può perfezionarsi, (mentre nella separazione giudiziale è il giudice stesso a decidere sull’assegno). Riassumendo:
- L’assegno per i figli deve essere obbligatoriamente previsto se
- Non è obbligatorio se non occorre perequare le risorse dei genitori.
La necessità di perequare le risorse dei genitori sussiste ed è pertanto obbligatorio prevedere un assegno di mantenimento per i figli:
- Ove vi siano differenze tra le risorse (ricchezza potenziale) dei due genitori
- Se il tempo di permanenza della prole con ciascun genitore crea una sperequazione di dette risorse. Ad es.
- Se due genitori con le stesse risorse si separano e prevedono che la parole passi il 70% del tempo con la madre e il 30% del tempo con il padre, è obbligatorio prevedere, negli accordi per la separazione consensuale, che il marito versi alla moglie un assegno allo scopo di fornire alla stessa le risorse necessarie a consentirle di mantenere la prole nel (maggior) tempo di permanenza dei figli presso di lei.
- Se il tempo di permanenza della prole è al 50% presso entrambe i genitori, ma un genitore ha risorse maggiori, deve essere previsto un assegno a favore dell’altro per il mantenimento della prole nei tempi di permanenza della stessa presso quest’ultimo.
La necessità di perequare le risorse dei genitori non sussiste e non è necessario prevedere un assegno di mantenimento per i figli: Ad es.
- Se due genitori con le stesse risorse si separano e prevedono che i figli passino il 50% del tempo con un genitore e il restante 50% con l’altro.
- Se la prole passerà -sulla base delle pattuizioni con le quali i coniugi regolano i propri rapporti nella separazione consensuale- il 70% del tempo con il genitore che ha il 70% delle risorse complessive della famiglia e il restante 30% del tempo con l’altro genitore che ha il 30% di dette risorse. In questi casi si parla di “mantenimento diretto della prole”.
In realtà la soluzione del mantenimento diretto è scarsamente usata, perché al di fuori del caso di una coppia di possidenti benestanti, in genere, il motivo per cui un coniuge ha più tempo libero e può pertanto tenere i figli per un periodo maggiore è nel fatto che non lavora o lavora part-time ed ha pertanto anche meno redditi e necessità di un assegno per mantenere la prole quando si trova presso di sé.
L’obbligo di prevedere un assegno perequativo per i figli, sussistendo una sperequazione delle risorse, spetta, in caso di separazione, anche se i genitori non sono sposati ma sono conviventi more uxorio. (Tale obbligo deriva infatti dal fatto della genitorialità e trova fonte non nella normativa sulla separazione ma in quella differente della responsabilità genitoriale alla quale la normativa sulla separazione rimanda).
C’è un eccezione alla regola dell’obbligatorietà dell’assegno per il mantenimento dei figli in caso di sproporzione delle risorse dei genitori in relazione ai tempi di permanenza della prole con ciascun di loro:
- L’assegno non è dovuto se i figli stessi abbiano adeguati redditi propri. Siccome è possibile donare o testare a favore non solo dei minorenni ma anche del concepito, alcuni bambini nascono già proprietari di appartamenti . Pensiamo al caso, ancor più raro, di minorenni che hanno successo nella cinematografia o nel mondo dello sport o della musica conseguendo guadagni rilevanti. In questi casi, molto rari, il giudice può prevedere l’assenza di un assegno di mantenimento per la prole se i genitori si separano. I genitori, che sono ex lege amministratori dei beni della prole fino alla maggiore età di questa, sono obbligati a mettere a frutto i beni dei figli per volgere tali risorse alla loro cura ed istruzione.
A QUANTO AMMONTA L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I MIEI FIGLI?
La Legge non determina la misura dell’assegno per il mantenimento della prole in modo specifico ricavabile con calcoli aritmetici. La determinazione dell’entità dell’assegno per il mantenimento del figlio (o di più assegni se i figli sono più di uno), soggiace alle stesse regole che determinano l’entità dell’assegno per il coniuge economicamente più debole descritte nel capitolo precedente. L’assegno deve essere di tal misura da assicurare alla prole la conservazione del tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale dei genitori e adeguato a quello della famiglia.
Un dato che incide sulla misura degli assegni per i figli è il tempo che gli stessi passeranno con un genitore e con l’altro dopo la separazione degli stessi. È evidente che andranno assicurate maggiori risorse a quel coniuge presso il quale i figli passeranno un tempo maggiore. Si deve innanzitutto computare tutti i cespiti patrimoniali e i redditi dei genitori inclusa la c.d. ricchezza potenziale per determinare quanto occorre per consentire ai figli dei separati il godimento di un tenore di vita coerente con le risorse complessive della famiglia. Quindi dividere le risorse occorrenti per il mantenimento dei figli avuto riguardo al tempo di permanenza di questi presso ciascuno dei genitori, in modo che dette risorse risultino con l’assegno perequate.
Ad es., se per assicurare alla prole il mantenimento del tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale dei genitori occorre 10, il marito guadagna 30, la moglie è casalinga e guadagna 0 e il tempo di permanenza dei figli è al 100 % presso la moglie, a lei dovrà essere erogato dal marito un assegno/i per il concorso al mantenimento dei figli pari a 10. Se il tempo di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori è di pari entità, l’assegno dovuto alla moglie, nell’esempio appena esposto, sarà pari a 5. Se entrambi guadagnano 15 e il tempo di permanenza dei figli è di pari entità non sarà dovuto alcun assegno etc.
Come sopra detto, per “guadagni” si intendono quelli che derivano alla coppia non solo dai redditi ricavati da un lavoro professionale ma anche quelli che derivano dai canoni di proprietà locate e dalla c.d. ricchezza potenziale. Trattandosi l’assegno di mantenimento per i figli di un diritto indisponibile, i coniugi sono liberi di prevedere, nelle pattuizioni che gli stessi convengono nell’ambito di una procedura di separazione consensuale, solo una misura dell’assegno superiore a quella determinata dalla legge (secondo i criteri generici sopra descritti) o la misura determinata dalla legge, ma non possono prevedere una misura inferiore né possono rinunciare all’assegno per i figli.
In tutte le procedure di separazione consensuale è sempre previsto dalla Legge un controllo giurisdizionale della congruità degli assegni previsti dai coniugi per concorrere al mantenimento dei figli, cioè è sempre previsto che un giudice controlli che le pattuizioni sugli assegni per i figli che i coniugi hanno spontaneamente negoziato, siano congrue ed idonee alla cura degli interessi della prole. Se i separandi nelle loro pattuizioni prevedono una misura degli assegni per i figli che viene ritenuta dal giudice non congrua, nessuna procedura di separazione consensuale può perfezionarsi.
Anche nella procedura di separazione consensuale con negoziazione assistita, nella quale non è previsto che i coniugi si rechino mai in Tribunale per incontrare il giudice, è fatto obbligo ai loro avvocati di depositare le pattuizioni dei coniugi presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale per consentire al giudicante di verificare la congruità della misura degli assegni per i figli (oltre ovviamente all’idoneità del regime di affido), potendo, se non la rinviene, rifiutare l’autorizzatone alla trascrizione ed impedire il perfezionamento della procedura.
Nelle procedure di separazione giudiziale è il giudice stesso che decide al posto dei coniugi la misura degli assegni per i figli. Trattandosi di diritti indisponibili, come detto, la misura degli assegni per i figli viene decisa dal giudice, dopo aver verificato le risorse della famiglia, senza avere alcun riguardo delle indicazioni dei coniugi, contenute nei loro atti, con riferimento a detta misura. Il giudice pertanto nella procedura di separazione giudiziale è libero di disporre assegni di entità superiore anche a quella più alta proposta dai coniugi nei loro atti.
NELLA CONSENSUALE DOBBIAMO PREVEDERE UN ASSEGNO CUMULATIVO PER TUTTI I FIGLI O UN ASSEGNO DISTINTO PER CIASCUNO?
È necessario prevedere un assegno distinto per ciascun figlio, anche se di identica entità. Ciò perché gli assegni per i figli sono soggetti a possibile revisione separata quando le esigenze dei figli si modificano (ad es. quando vanno all’università le esigenze di alcuni figli aumentano in misura maggiore rispetto a quelle di altri e ciò si verifica in tempi diversi; quando un figlio consegue adeguati redditi propri, perde il diritto ad essere mantenuto e il giudice rimuove solo il suo assegno, non quello degli altri figli, che è necessario pertanto che siano separatamente individuati).
L’ASSEGNO È COMPUTATO IN BASE AI REDDITI E AI BENI DICHIARATI, ANCHE SE INFERIORI A QUELLI REALI?
No. Nella separazione consensuale l’assegno è determinato dalle parti che conoscono i beni e i redditi reali dell’obbligato (cioè di colui che pagherà l’assegno) e determinano l’entità dell’assegno su quella base. Nella giudiziale l’assegno è computato dal giudice in base ai beni e ai redditi reali dell’obbligato. Nel caso in cui questi appaiano in tutto o in parte occultati al fisco, (ad. es se vi è una evidente divergenza tra il tenore di vita della famiglia e i redditi dichiarati), il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni dell’obbligato. Ciò anche se, sulla base di una specifica contestazione effettuata dalla controparte, questi siano intestati fittiziamente a soggetti diversi (art. 337 ter c.c. ultimo comma).
SE MIO MARITO NON E’ IN GRADO DI PAGARE UN ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER LA PROLE, CHI LA MANTIENE?
Se il coniuge più abbiente dei due non è in grado di mantenere la prole, gli ascendenti possono essere vincolati dal giudice a pagare un assegno al coniuge affidatario esclusivo o a quello presso il quale i giudici hanno collocato i figli prevalentemente o ad entrambi i coniugi. Ciò anche in costanza di matrimonio. (art. 316 bis. c.c.).
POSSO CHIEDERE DI VERSARE L’ASSEGNO CHE PAGO PER CONCORRERE AL MANTENIMENTO DEI FIGLI, AI FIGLI STESSI E NON ALL’ALTRO CONIUGE?
Quando i figli sono minorenni l’assegno per concorrere al loro mantenimento va pagato al coniuge affidatario o coaffidatario perché questi volga tale risorsa al sostentamento e alla cura della prole. Pertanto, in questo periodo, il creditore degli assegni di mantenimento dei figli è il coniuge affidatario o coaffidatario e a lui vanno pagati. Quando il figlio o i figli diventano maggiorenni è possibile versare direttamente agli stessi gli assegni per il loro sostentamento (art.lo 337 septies c.c.). Tuttavia tale possibilità non si verifica automaticamente al compimento della maggiore età della prole. I figli maggiorenni possono diventare creditori della prestazione dell’assegno al posto del genitore affidatario solo per decisione del Tribunale. E’ infatti il giudice a decidere se i figli hanno raggiunto una maturità tale (indipendentemente dalla maggior età) da consentire loro una corretta gestione del denaro. Ove non rinvenga tale maturità (si pensi al caso che il figlio abbia dato prova di non eseguire una matura amministrazione delle proprie risorse o al caso estremo che sia alcolizzato o tossicodipendente), il giudice può disporre che l’assegno venga ancora pagato al genitore collocatario perché lo volga al sostentamento ed alla cura della prole. (Quando i figli diventano maggiorenni, il genitore “affidatario” assume il nome di “collocatario” perché essendo maggiorenni, i figli non sono più “affidati” ma “collocati” presso di lui).
Se il figlio o i figli diventano maggiorenni dopo la separazione (o il divorzio) dei genitori, ciascuno dei due coniugi può chiedere al giudice in qualunque tempo successivo al compimento degli anni 18 da parte della prole, di stabilire che l’assegno di mantenimento dei figli debba essere versato a loro stessi e non all’altro genitore, ma, come detto, non è consentito al genitore che paga gli assegni di versarli direttamente alla prole divenuta maggiorenne, senza aver chiesto e ottenuto preventivamente dal Tribunale il riconoscimento di tale facoltà a seguito dell’esperimento di una procedura di modifica delle condizioni di separazione (art.lo 710 c.p.c. per i motivi sopra descritti.
Se i figli diventano maggiorenni prima della separazione o del divorzio dei genitori tale richiesta andrà avanzata al Giudice nell’ambito delle dette procedure. (art.lo 337 septies c.c.).
L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI È SOGGETTO ALL’AUMENTO ISTAT?
In assenza di espresse indicazioni presenti nella sentenza o nelle pattuizioni dei coniugi, gli assegni di mantenimento per i figli sono soggetti all’aumento ISTAT nella misura del 100% di tale parametro, per essere adeguati al mutante costo della vita (art. 337 ter c.c. penultimo comma). È consentito alle parti o al giudice prevedere un altro parametro (si pensi all’ipotesi che i redditi dell’obbligato ad es. un pensionato non sono aumentati secondo gli indici ISTAT al 100%, ma al 70%. Se l’assegno fosse indicizzato al 100%, anno dopo anno, si creerebbe uno squilibrio tra i redditi dell’obbligato e la misura degli assegni che è tenuto a pagare. In questo caso si può prevedere un adeguamento del 70%.
Come sopra detto, se nessuna deroga è prevista nel provvedimento di separazione, l’assegno è aumentato annualmente secondo i parametri ISTAT applicati nella misura del 100%
SE NON HO CHIESTO L’AUMENTO ISTAT DELL’ASSEGNO, L’AUMENTO NON MI È DOVUTO?
L’aumento ISTAT dell’assegno è sempre dovuto anche se non richiesto. È l’obbligato alla corresponsione dell’assegno che deve autonomamente provvedere ad aggiornarlo. Se non viene richiesto l’aggiornamento ISTAT dal coniuge beneficiario e l’assegno non viene aggiornato da anni, egli può sempre chiedere gli arretrati, con il limite della prescrizione quinquennale.
Se vuoi conosere come calcolare la rivalutazione vai alla pagina dedicata
POSSO CHIEDERE LA MODIFICA DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI DOPO LA CONCLUSIONE DELLA PROCEDURA DI SEPARAZIONE ?
Bisogna distinguere a seconda che:
- L’assegno di mantenimento sia stato disposto da una sentenza in un giudizio di separazione giudiziale
- L’assegno di mantenimento sia stato disposto da un decreto di omologa o altro provvedimento equivalente all’esito di una procedura di separazione consensuale.
- Se l’assegno di mantenimento è stato disposto da un giudice in un giudizio contenzioso (cioè di separazione giudiziale) di primo grado e dunque in Tribunale, si può chiedere alla Corte di Appello (giudizio di secondo grado) di modificarlo, entro i termini previsti dalla legge (30 gg. se la sentenza viene notificata dalla controparte o 6 mesi se non viene notificata), dimostrando che i giudici del primo grado ne hanno erroneamente determinato l’entità. Se non si è soddisfatti della decisione della Corte di Appello, si può chiedere, rincorrendone i presupposti, nei termini di legge (venti giorni dalla notificazione), alla Corte di Cassazione di cassare cioè annullare la decisione della Corte di Appello e di disporre un nuovo giudizio. Quando tutte queste procedure sono state esperite, oppure sono decorsi i termini per impugnare la sentenza (del Tribunale o della Corte di Appello) senza che questa sia stata impugnata, non si può più chiedere ad alcun organo giurisdizionale di modificare tale decisione. Si dice allora che la sentenza (l’ultima) è passata in giudicato. L’ordinamento prevede questo limite per evitare la cosiddetta “incertezza del diritto”, cioè una condizione nella quale pendono per un tempo infinito giudizi per la determinazione dell’assegno senza che questo sia mai definitivamente determinato. Se però, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, cambiano i presupposti sulla base dei quali la decisione sulla disciplina della separazione è stata presa (ad es. l’obbligato al pagamento dell’assegno di mantenimento perde il lavoro, o l’affidataria si mette a maltrattare i figli e pertanto vanno rivisti i tempi di permanenza degli stessi presso di lei e di conseguenza la misura delle risorse occorrenti per mantenerla), è possibile chiedere nuovamente al Tribunale che l’assegno sia modificato. Come detto, non è possibile farlo se nessuna modificazione è intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza. Abbiamo visto nell’ultimo paragrafo del capitolo precedente le condizioni che determinano la possibilità di domandare una modificazione dell’assegno per il mantenimento del coniuge. Esse possono mutare o conservarsi determinando il sorgere o meno del diritto a chiedere una modificazione della misura dell’assegno di mantenimento. A differenza di quanto avviene per i coniugi, i figli vanno sempre incontro ad un aumento fisiologico delle proprie esigenze: quando erano piccoli bisognava solo portarli al parco, quando diventano grandi hanno necessità maggiori: devono comperare il ciclomotore, pagare la discoteca, il telefonino, l’abbigliamento più ricercato, poi le tasse universitarie etc.. Per contro i genitori con l’avanzare dell’età, in genere, fanno carriera e aumentano i propri guadagni, pertanto, le condizioni poste a base della determinazione dell’assegno per il mantenimento dei figli vanno sempre incontro ad una fisiologica modificazione. Si potrà pertanto chiedere l’aumento degli assegni per il mantenimento dei figli per i motivi detti, a meno che tali modificazioni, se complessivamente considerate, non modifichino l’equilibrio dei rapporti patrimoniali disposto con il precedente provvedimento. A meno che cioè, all’aumentare delle esigenze dei figli, sia corrisposta una diminuzione delle risorse dei genitori.
- Se l’assegno di mantenimento è stato determinato dalla coppia stessa in una procedura di separazione consensuale ormai conclusa, ed è stato ritenuto congruo dal giudice che ha emesso l’omologa o l’autorizzazione, non può essere impugnato in corte di Appello il provvedimento che lo dispone, né in Corte di Cassazione, né può essere chiesto da uno dei coniugi successivamente al giudice di disporre d’imperio, contro la volontà dell’altro coniuge, una modificazione dell’assegno semplicemente perché ci ha ripensato o lamenta un’inadeguatezza dell’assegno deciso di comune accordo. Ciò per “mancanza di interesse ad agire”: l’ordinamento stabilisce che se un coniuge chiede in accordo con l’altro, nell’ambito di una procedura di separazione consensuale, uno specifico provvedimento, (ad. es. di pagare un assegno di mantenimento pari ad € x), poi non può agire in giudizio contro se stesso lamentando che è stato recepito, nel provvedimento del tribunale, proprio ciò che egli aveva chiesto. E’ sempre possibile invece per un coniuge chiedere una modificazione dell’assegno anche contro la volontà dell’altro, introducendo un giudizio di modifica delle condizioni di separazione contenzioso, se, successivamente alla conclusione della procedura di separazione, sono intervenute modificazioni dei rapporti patrimoniali. Se la coppia si accorda per modificare l’assegno, è possibile introdurre una procedura consensuale a domanda congiunta di modificazione delle condizioni di separazione, domandando entrambi i coniugi al giudice di emettere un provvedimento avente ad oggetto le modificazioni dagli stessi convenute. Il giudice accoglierà la domanda di modifica, qualunque essa sia, se riguarda l’assegno per il coniuge, mentre se la domanda riguarda l’assegno per i figli la accoglierà solo se ritiene tale modificazione necessaria e congrua rispetto alle risorse della famiglia.
CHE SUCCEDE SE L’OBBLIGATO NON HA PAGATO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER MOLTO TEMPO? POSSO CHIEDERLI IL PAGAMENTO DEGLI ARRETRATI OGGI?
Non pagare un assegno di mantenimento integra fattispecie di reati penali e illeciti civili. Per quanto riguarda il diritto civile, se un coniuge obbligato al pagamento rimane inadempiente, l’altro può pignorare tutti i suoi beni presenti e futuri, farli vendere alle aste pubbliche, sotto il controllo del tribunale, ricevere dallo stesso le sue spettanze e soddisfare così il suo credito. Se l’obbligato alla corresponsione dell’assegno ha uno stipendio può essere chiesta la c.d. “distrazione alla fonte” cioè un ordine dato dal giudice al datore di lavoro dell’obbligato di pagare immediatamente al coniuge beneficiario dell’assegno la somma dovuta
L’assegno di mantenimento per i figli come quello per il coniuge è soggetto a prescrizione come qualunque diritto di credito. Attualmente la Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto a ricevere tale assegno si prescrive in 5 anni, cambiando l’orientamento previgente in base al quale la prescrizione dell’assegno era considerata decennale. La legge stabilisce che i diritti di credito fondati su sentenza hanno prescrizione ordinaria decennale (art.lo 2946 c.c.) e quelli che comportano un pagamento periodico, prescrizione quinquennale (art.lo 2948 c.c.). Il diritto di credito rappresentato dall’assegno di mantenimento presenta entrambe queste caratteristiche: è fondato su sentenza ed è periodico. In precedenza la Corte aveva stabilito la prevalenza del fatto che tale credito trovava fonte in una sentenza e che pertanto i termini prescrizionali dello stesso erano quelli ordinari pari a 10 anni ex art.lo 2946 c.c., applicati a tutti i diritti di credito fondati su sentenza. La Corte riteneva irrilevanti le specifiche modalità di pagamento stabilite dalla sentenza stessa. In pronunciamenti successivi, mutando il proprio orientamento, la stessa Corte ha ritenuto invece prevalente la caratteristica della periodicità del pagamento che interessa gli assegni di mantenimento, con conseguente applicazione della prescrizione quinquennale ex art.lo 2948 c.c.. Attualmente pertanto la maggior parte dei giudici di merito che sposano l’orientamento della Suprema Corte riconoscono la prescrizione quinquennale dell’assegno. Pertanto si può ottenere il pagamento coattivo di tutti gli assegni non corrisposti solo se risalenti a non più di 5 anni. (Si può anche chiedere il pagamento di un assegno risalente ad es. a 9 anni e si può anche ottenere una condanna al pagamento di tale assegno, ma solo se la parte contro la quale questa domanda viene avanzata non eccepisce la prescrizione di tale credito in prima udienza, oppure il giudice di merito adito non sposa l’attuale orientamento della Suprema Corte.
Se non rispetta la disciplina dei rapporti personali, su istanza del coniuge non inadempiente:
il giudice civile può: (art.lo 709 ter c.p.c.)
- ammonire il genitore inadempiente;
- disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
- disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
- condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
il giudice penale può:
- condannare il coniuge inadempiente per il reato previsto dall’art.lo 388 codice penale cioè mancata ottemperanza ad una sentenza del giudice civile.
- condannare il coniuge inadempiente per il reato previsto dall’art.lo 570 codice penale cioè violazione degli obblighi di assistenza familiare
PER QUANTO TEMPO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI DEVE ESSERE PAGATO?
Non è più dovuto l’assegno di mantenimento per i figli quando questi:
- conseguano adeguati redditi propri (ad es. un quindicenne si mette a fare il cantante e guadagna 1 milione al mese: perde il diritto di essere mantenuto dai genitori) o
- raggiungano un età tale (la legge non la definisce con una cifra, la giurisprudenza la individua attorno ai 32 anni), da far sorgere condizioni oggettive che anche solo in astratto permettono alla prole di procurarsi adeguati redditi propri. Anche solo in astratto significa che perdono il diritto a ricevere un assegno di mantenimento anche se nel concreto i figli non hanno ancora adeguati redditi propri ma sono sorte condizioni oggettive che gli consentono di procurarseli. Alla prole non è consentito dunque di scegliere di farsi mantenere dai genitori dopo i 32 anni
COSA RISCHIO SE NON PAGO?
Non pagare regolarmente l’assegno di mantenimento espone il soggetto inadempiente a responsabilità di natura civile e penale. Il genitore che non versa il mantenimento corre il serio rischio di dover affrontare un processo penale a causa della violazione dell’art. 570 Bis del Codice penale.
Processo civile - il genitore che non paga il mantenimento ai figli rischia di dover affrontare un processo di esecuzione civile, con conseguente pignoramento e vendita coattiva dei suoi beni al fine di soddisfare il diritto di credito che vantano i figli nei suoi confronti.
In poche parole, i rimedi civili messi a disposizione dei figli per tutelare i propri interessi sono il pignoramento dei beni, il sequestro e l’ordine di pagamento diretto. Attraverso quest’ultimo istituto, in poche parole, il Giudice ordina a terzi, generalmente il datore di lavoro del genitore inadempiente, di versare direttamente la cifra stabilita a titolo di mantenimento, sottraendola allo stipendio chiaramente, ai figli a cui era destinata.I
Processo penale - l reato è quello previsto dall’articolo 570 del Codice Penale che punisce con la reclusione e una multa, la violazione degli obblighi di assistenza familiare che compromette i mezzi di sussistenza sia dei figli minori sia del coniuge che non ha l’addebito della separazione. Ulteriore e decisivo riferimento è l’articolo 570-bis del Codice Penale
Lo scopo è quello di garantire ai figli di poter ottenere, nel minor tempo possibile, le somme che gli spettano senza dover incardinare prima un processo di esecuzione.
Per non rischiare di incorrere nel reato di cui all’art. 570-bis c.p. il soggetto obbligato al versamento dell’assegno di mantenimento potrebbe richiedere in sede civile una modifica delle condizioni di separazione o divorzio.
QUANDO SI REVOCA L'ASSEGNO FAMILIARE?
La Cassazione ha ribadito che non può essere revocato il mantenimento al figlio se emerge dalle risultanze istruttorie che non ha raggiunto la piena indipendenza economica.
Va rimarcato il diritto del figlio a mantenere un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia e, per quanto possibile, analogo a quello tenuto in costanza di convivenza dei genitori. (Ordinanza 19077/2020)
Il dovere di mantenere i figli è sancito dall’art. 30 della Costituzione e dall’art. 147 del C.C. laddove si stabilisce che ambedue i genitori debbano mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità professionale e casalinga.
Tale obbligo non cessa automaticamente con il compimento del diciottesimo anno di età ma prosegue fino al momento del raggiungimento dell’indipendenza economica. Il principio generale è che i genitori sono tenuti a mantenere il figlio maggiorenne qualora ultimato il prescelto percorso formativo, questi si sia adoperato attivamente per rendersi autonomo economicamente, tenendo conto delle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro anche ridimensionando le proprie aspirazioni, ma nonostante ciò non abbia raggiunto l’indipendenza economica.
Ma quando può dirsi raggiunta l’indipendenza economica da parte del figlio?
In questi anni si sono susseguite varie pronunce sul punto ma la Cassazione è unanime nel ritenere che non sia sufficiente un lavoro precario né un lavoro serale o part-time iniziato dal figlio per fare esperienza e neppure un lavoro con contratto a tempo determinato.
Solo una stabilità lavorativa del figlio per almeno due anni consentirebbe al genitore di interrompere legittimamente il versamento del mantenimento (Cass. Ord. 19696/2019)
Infine un ulteriore aspetto merita di essere sottolineato.
Perso il diritto al mantenimento per raggiungimento dell’indipendenza economica, il figlio non potrà più richiedere ai propri genitori di essere mantenuto anche qualora smetta di lavorare e ciò indipendentemente dalle ragioni per cui perde il lavoro (dimissioni volontarie, abbandono del lavoro, licenziamento). In altri termini, la perdita dell’occupazione non comporta il risorgere del diritto al mantenimento che si è definitivamente estinto con il raggiungimento dell’indipendenza economica.
Qualora, però, il figlio versi in un vero stato di bisogno i genitori saranno obbligati alla corresponsione degli alimenti, vale a dire a fornirgli quanto necessario per acquistare i beni di stretta necessità.