COS’È IL DIVORZIO?

Il divorzio è lo scioglimento del vincolo coniugale sorto con la celebrazione del matrimonio.

I  coniugi  che  divorziano  non  seguono  più  una  sola direzione comune, ma si “volgono” in “due”  direzioni, intraprendendo, latu sensu, due strade differenti

QUANTE PROCEDURE DI DIVORZIO ESISTONO?

Esistono 3 procedure di divorzio che presuppongono un accordo della coppia:

  1. il divorzio a domanda congiunta
  2. il divorzio con negoziazione assistita
  3. il divorzio davanti al sindaco (o un suo delegato) in funzione di Ufficiale delle Stato Civile

Ed 1 procedura di divorzio che prescinde dall’accordo dei coniugi:

  1. il divorzio contenzioso

QUANDO POSSO DIVORZIARE?

è  possibile  divorziare  (oltre  che  nei  casi  previsti  dall’art.  3  L.  898/70),  quando  vi  sia  stata  separazione dei  coniugi  ininterrotta  per  almeno  6  mesi    se  la  coppia  si  è  separata  con  procedura  di  rito  consensuale,  o   per almeno  12 mesi se la coppia si è separata con procedura giudiziale

POSSO DIVORZIARE SUBITO, SENZA LA SEPARAZIONE?

Negli   anni   scorsi,   quando   per   poter   divorziare   occorreva   aspettare   3   anni   dopo   aver   seguito   la separazione,   era   invalso   l’uso   di   prendere   la   residenza   in   uno   degli   stati   esteri   la   cui   legislazione contempla  il  divorzio  immediato  senza  la  separazione,  per  divorziare  subito  e  far  poi  delibare  in  Italia  la sentenza  di  divorzio  ottenuta  immediatamente  dal  tribunale  dello  Stato  estero.  Infatti  l’ordinamento italiano  non  consente  di  divorziare  senza  la  separazione,  ma  consente  di  recepire  una  sentenza  di  divorzio emessa da uno stato estero. Oggi,  con  la  riforma  che  ha  stabilito  una  riduzione  del  tempo  durante  il  quale  la  coppia  deve  rimanere separata  prima  di  poter  iniziare  il  divorzio  da  3  anni  a  6/12  mesi,  tale  strategia  non  consente  più  alcun apprezzabile  risparmio  di  tempo,  occorrendo  più  di  9  mesi  per  far  delibare  una  sentenza  di  divorzio  in Italia. 

DA QUANDO DECORRE IL TERMINE DI 6 MESI/1 ANNO DALLA SEPARAZIONE PER POTER DIVORZIARE?

Il  termine  non  decorre  dalla  fine  della  procedura  di  separazione  ma  da  determinati  momenti  che  si trovano all’interno delle procedure, (art. 3 L. 898/70) in particolare:

  • 12 mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale cioè dal giorno dell’udienza presidenziale nella procedura di separazione giudiziale;
  • 6 mesi dal giorno dell’udienza presidenziale della separazione giudiziale che si sia trasformata in separazione consensuale, quando cioè è avvenuto i c.d. mutamento di rito;
  • 6 mesi dal giorno dell’udienza presidenziale della separazione consensuale;
  • 6 mesi dalla data dell'accordo di separazione raggiunto a seguito di negoziazione assistita;
  • 6 mesi dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'Ufficiale dello StatoCivile

CAMBIA QUALCOSA SE MI SONO SPOSATA IN CHIESA O IN COMUNE?

Se  la  coppia  ha  eseguito  il  c.d.  matrimonio  concordatario,  (cioè  celebrato  in  chiesa  con  il  rito  religioso   e   regolarmente   trascritto)   con   un   unico   atto   celebrativo,   in   base   ai   Patti   Lateranensi,   ha   contratto matrimonio  sia  secondo  il  diritto  ecclesiastico  vigente  nello  Stato  della  Città  del  Vaticano,  sia  secondo  il diritto italiano vigente in Italia. Se  tale  coppia  divorzia,  (cioè  scioglie  il  vincolo  coniugale  utilizzando  una  delle  procedure  previste  dal diritto  italiano),  si  verificherà  solo  la  dissoluzione  del  vincolo  coniugale  riconosciuto  dal  diritto  italiano, non  quello  riconosciuto  dal  diritto  ecclesiastico  (che  peraltro  non  prevede  nemmeno  il  divorzio  ma  solo  il diverso istituto dell’annullamento del matrimonio).Così   ad   es.   se   un   cittadino   si   sposa   in   chiesa   (con   matrimonio   concordatario),   divorzia   e successivamente  si  risposa  (con  altra  persona)  in  Comune,  innanzi  all’Ufficiale  di  Stato  Civile,  senza chiedere  o  senza  ottenere  l’annullamento  del  precedente  matrimonio  dai  tribunali  della  Sacra  Rota,  per  il diritto  ecclesiastico  vigente  all’interno  dello  Stato  del Vaticano  tale  cittadino  è  ancora  sposato  con  il  primo coniuge. Per il diritto italiano invece con il secondo.Per  quanto  sopra  questa  distinzione  si  traduce  in  due  “petitum“  differenti  e  alternativi  della  domanda di divorzio. (Il petitum è ciò che i coniugi chiedono al tribunale di disporre). Se   i   coniugi   si   sono   sposati   in   chiesa   e   hanno   celebrato   un   matrimonio   concordatario   (sopra descritto),  il  loro  divorzio  produrrà  la  c.d.  “cessazione  degli  effetti  civili  del  matrimonio”  (cioè  dei  soli effetti  civili,  perché  gli  effetti  del  matrimonio  ecclesiastico  si  conservano),  pertanto  questo  sarà  il  petitum della loro domanda di divorzio. Se  invece  una  coppia  si  è  sposata  in  Comune  cioè  in  base  al  solo  diritto  italiano,  allora  con  il  divorzio si    avrà    il    c.d.    “scioglimento   del   vincolo   coniugale”    cioè    dell’unico    vincolo    coniugale    esistente giuridicamente:  quello  contratto  in  base  alla  legge  italiana.  Questo  sarà  dunque  il  petitum  dei  coniugi  che si sono sposati in comune. 

COS’È IL DIRITTO DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE?

Tale  diritto  può  essere  costituito  attraverso  le  procedure  consensuali  (inserendo  espressamente  tale previsione,  da  parte  della  coppia  stessa,  nelle  pattuizioni  che  regolano  i  propri  rapporti)  o  giudiziali  (nelle quali  l’assegnazione  viene  stabilita  direttamente  dal  giudice)  di  separazione,  di  divorzio,  di  annullamento del matrimonio, o di separazione di coppie non sposate che hanno figli (quindi nati fuori dal matrimonio).

Le  condizioni  di  divorzio  (che  i  coniugi  stessi  determinano  nelle  procedure  consensuali  di  divorzio  o  il giudice  nel  divorzio  contenzioso)  individuano  il  genitore  con  cui  i  figli  prevalentemente  convivono  dopo  il divorzio dei genitori.   Se  la  casa  coniugale  (cioè  quella  ove  si  è  svolta  la  vita  familiare)  non  è  di  proprietà  del  coniuge  con cui  i  figli  prevalentemente  convivono  ma  dell’altro  coniuge,  secondo  le  regole  generali  sulla  proprietà,  il coniuge proprietario potrebbe allontanare l’altro e la prole dal suo immobile.I   figli   della   coppia   in   questo   caso   dovrebbero   seguire   il   genitore   cui   sono   affidati   o   comunque prevalentemente  convivono  in  una  diversa  sistemazione  abitativa,  probabilmente  in  un  altro  quartiere, dovendo  per  l’effetto  cambiare  scuola  e  perdere  amicizie  e  abitudini  ormai  radicate.  É  evidente  che  questo avrebbe  un  effetto  traumatizzante  sulla  prole.  Per  evitare  alla  prole  dei  divorziati  il  trauma  descritto  la legge prevede l’istituto dell’assegnazione della casa familiare. l’assegnazione  è  il  diritto  che  consente  il  godimento  esclusivo  e  gratuito  della  casa  familiare  al coniuge  con  cui  è  stabilito  che  i  figli  prevalentemente  convivano  dopo  il  divorzio,  indipendentemente  da chi sia dei due coniugi il proprietario, il comproprietario, il locatario o il comodatario dell’immobile. Il coniuge a cui viene riconosciuto questo diritto è detto “assegnatario” Godimento  esclusivo  significa  che  il  coniuge  non  assegnatario,  anche  se  proprietario  dell’immobile, non  può  più  entrare  nella  sua  casa  assegnata  all’altro  senza  il  consenso  di  quest’ultimo,  essendo  altrimenti contestabile  al  proprietario  il  reato  di  violazione  di  domicilio.  (Naturalmente  il  proprietario  non  perde  il diritto  di  proprietà  per  il  fatto  dell’assegnazione  del  proprio  immobile  all’altro  coniuge.  Il  suo  diritto  viene “compresso” e tornerà ad espandesi non appena verrà rimossa l’assegnazione). 1.Se  il  coniuge  non  assegnatario  è  proprietario  pieno  al  100%  dell’immobile  o  comproprietario  insieme all’altro,   al   coniuge   assegnatario   (cioè   colei/colui   che   ha   il   diritto   di   assegnazione)   spetta   il godimento   gratuito   dell’immobile,   non   dovendo   pagare   alcunché   per   la   detenzione   dello   stesso all’altro   coniuge   proprietario/comproprietario.   (L’assegnatario   dovrà   pagare   solo   i   servizi   che consuma: condominio, luce, gas etc.).2.  Se  invece  l’immobile  è  di  proprietà  di  un  terzo  che  lo  ha  locato  o  concesso  in  comodato  al  coniuge non  assegnatario,  il  coniuge  assegnatario  subentra  ope  legis  nel  contratto  di  locazione  o  di  comodato al  posto  del  coniuge  stipulante,  come  se  fosse  stato  quest’ultimo  a  stipulare  il  contratto  di  locazione con   il   proprietario   dell’immobile   (e   dovrà   evidentemente   pagare   il   canone   al   terzo   proprietario dell’immobile se vorrà continuare a detenere detto immobile nel caso della locazione).  Come  detto,  la  disciplina  dell’assegnazione  della  casa  familiare  non  è  volta  a  comporre  i  rapporti patrimoniali della coppia che divorzia ma a tutelare i figli della stessa.La  disciplina  principale  che  regola  tale  istituto  non  si  trova  infatti  né  tra  le  regole  della  separazione coniugale  né  principalmente  tra  quelle  che  disciplinano  il  divorzio  ma  in  uno  specifico  titolo  del  Codice Civile  (titolo  IX  c.c.,  art.  337  sexies  c.c.)  che  regola  specificamente  e  uniformemente  l’assegnazione  della casa   familiare   in   caso   di   separazione,   divorzio,   annullamento   del   matrimonio,   e   figli   nati   fuori   del matrimonio. Essendo  detta  disciplina  sull’assegnazione  uniforme  per  la  separazione,  il  divorzio  e  gli  altri  casi detti,  con  il  divorzio  in  genere  viene  mantenuta  l’assegnazione  della  casa  familiare  al  coniuge  con  il  quale la prole prevalentemente convive, come già stabilito dal provvedimento di separazione.La    conferma    nel    provvedimento    che    dispone    il    divorzio    dell’assegnazione    conseguita    nella separazione   è   naturalmente   subordinata   alla   conferma   delle   condizioni   di   affido   e   di   convivenza prevalente  della  prole.  Immaginiamo  che  l’affidataria  trascuri  o  maltratti  i  figli  durante  la  separazione,  il giudice  del  divorzio  le  può  toglierle  l’affidamento,  rideterminare  il  tempo  di  permanenza  della  prole presso  ciascuno  dei  coniugi  e  per  l’effetto  modificare    anche  l’assegnazione  della  casa  coniugale  che  verrà riconosciuta, nell’esempio, all’altro coniuge.    La   legge   sul   divorzio   nell’art.lo   6   punto   6   L.898/70   contiene   ulteriori   disposizioni   speciali sull’assegnazione  della  casa  familiare,  introducendo  anche  un  criterio  assistenzialistico  per  il  coniuge  più debole  che  si  affianca  a  quello  principale  della  tutela  degli  interessi  della  prole  per  la  determinazione dell’assegnatario stabilito dalle regole generali.Secondo   l’orientamento   dominante   della   giurisprudenza   tale   favor   è   comunque   subordinato   alla presenza  di  figli.  Se  è  stabilito  che  i  figli  abbiano  un  tempo  di  permanenza  presso  i  genitori  divorziati  di pari  entità  il  giudice  può  tenere  conto  nel  divorzio  del  favor  riconosciuto  dalla  legge  al  coniuge  meno abbiente,   attribuendogli   l’assegnazione   della   casa   familiare.   In   assenza   di   figli   invece   la   casa   non   è assegnabile indipendentemente dalle condizioni economiche del coniuge meno abbiente.

A CHI VENGONO AFFIDATI I FIGLI NEL DIVORZIO?

La    legge    sul    divorzio    e    quella    sulla    separazione    non    contengono    una    differente    disciplina dell’affidamento della prole. Nel   corpo   del   testo   delle   due   leggi,   quella   sulla   separazione   e   quella   sul   divorzio,   la   disciplina sull’affidamento   della   prole   non   è   nemmeno   presente.   Entrambe   le   leggi   infatti,   con   riferimento all’affidamento  della  prole,  contengono  solo  un  rinvio  (nel  divorzio  art.lo  6  L.  898/70,  nella  separazione art.lo  155  c.c.),  agli  stessi  articoli  del  Codice  Civile  (337  s.s.c.c.)  che  regolano  uniformemente  l’affidamento della   prole   in   caso   di   separazione,   divorzio,   annullamento   del   matrimonio,   e   figli   nati   fuori   del matrimonio.   Ne  consegue  che  poiché  le  regole  che  hanno  disciplinano  l’affidamento  dei  figli  nella  separazione sono  le  stesse  che  disciplinano  l’affidamento  dei  figli  nel  divorzio,  in  genere  in  assenza  di  novità  nei rapporti  personali  successive  alla  separazione  (e  cioè  ad  es.  se  la  separata  affidataria  non  ha  maltrattato  o trascurato la prole durante la separazione), nel divorzio le condizioni di affido si conservano identiche.     Per  maggiori  informazioni  si  rimanda  al  pagina nella  quale  è  stato  trattato  l’affidamento  della  prole nella separazione. 

SE DIVORZIO, CONSERVO I DIRITTI SUCCESSORI?

No.  Con  il  divorzio  si  perdono  del  tutto  i  diritti  successori  (cioè  il  diritto  di  ereditare  parte  dei  beni dello  (ex)  coniuge)  che  spettano  invece  ai  coniugi  sposati  e  ai  coniugi  separati  senza  addebito  (art.lo  585 c.c.). Infatti,  nell’elenco  dei  successibili,  cioè  coloro  ai  quali  la  legge  stessa  attribuisce  la  qualità  dei  eredi nel  caso  in  cui  il  de  cuius  non  abbia  fatto  testamento  (c.d.  successione  ab  intestato)  non  c’è  l’ex  coniuge divorziato  (art.lo  565  c.c.),  né  tantomeno  l’ex  coniuge  divorziato  è  presente  nell’elenco  dei  legittimari,  cioè di  coloro  (tra  cui  moglie  e  figli)  cui  è  assicurata  dalla  legge  una  quota  dell’eredità  della  quale  il  testatore non  può  disporre  a  favore  di  terzi)  art.lo  536  c.c. Naturalmente  il  testatore  (cioè  colui  che  fa  testamento)  ben  può,  se  lo  vuole,  lasciare  una  parte dell’eredità all’ex coniuge, ma non è obbligato.  

SE DIVORZIO, I MIEI FIGLI CONSERVANO I DIRITTI SUCCESSORI?

Si.  i  figli  conservano  esattamente  gli  stessi  diritti  successori  nei  confronti  di  entrambi  i  genitori indipendentemente  dal  fatto  che  questi  si  separino  o  divorzino.  I  figli  sono  protetti  dalla  legge  che  riserva loro  una  quota  dell’eredità  che  il  testatore  non  può  disporre  che  sia  trasferita  a  terzi.  Per  fare  un  esempio, il  genitore  non  può  lasciare  per  testamento  tutti  i  propri  averi  ad  un’amante.  Se  lo  fa,  quel  testamento  è nullo   nella   misura   in   cui   vìola   la   quota   riservata   obbligatoriamente   ai   figli   (vedi   anche   paragrafo precedente).