COS’È L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI?

È  il  provvedimento  con  il  quale  viene  stabilito  a  chi  spetti  il  potere  di  assumere  le  decisioni  relative  alla  vita della prole minorenne dopo la separazione dei genitori. Colui che è investito di detti poteri dal provvedimento di affidamento è detto “affidatario”.Quasi sempre gli stessi genitori sono insigniti della titolarità di questo potere.

(se  un  genitore  è  immeritevole  ad  es.  tossicodipendente  o  che  ha  pendenze  penali,  malattie  psicologiche  o  semplicemente  maltratta  o  trascura gravemente  la  prole,  il  giudice  affida  i  figli  esclusivamente  all’altro.  Se  entrambi  sono  immeritevoli  la  prole  può  essere  affidata  dal  giudice  a  terzi,  ad  es. agli ascendenti consenzienti o, in rari casi, ai Servizi Sociali).

Questo potere è conferito:

  • dal giudice nella separazione giudiziale,
  • dai  coniugi  stessi  in  quella  di  rito  consensuale  inserendo  la  qualifica  di  affidatari/o  nelle  pattuizioni  con  le quali regolano il loro rapporti successivi alla separazione.

(la  decisione  dei  coniugi  di  assumere  personalmente  i  poteri  che  derivano  dall’affidamento,  stabilita  nelle  loro  pattuizioni,  è  sempre  sottoposta  al vaglio  del  giudice  che,  dopo  aver  verificato  l’idoneità  di  tale  decisione  alla  cura  degli  interessi  della  prole,  la  può  convalidare  o  meno.  Se  non  la  convalida dispone  l’estinzione  della  procedura  (cioè  la  conclusione  infruttuosa  della  procedura  di  separazione  che  lascia  i  coniugi  non  separati  come  se  detta procedura non fosse nemmeno iniziata).

In  entrambe  le  procedure  di  separazione  (consensuale  e  giudiziale)  e  anche  durante  il  matrimonio,  il  giudice  se  notiziato  da  chiunque  vi abbia  interesse,  qualora  rileva  che  le  condotte  o  le  qualità  di  uno  od  entrambe  i  genitori  procurino  un  grave  pregiudizio  alla  prole,  stabilisce, anche  d’ufficio  (art.  336  c.c.;  337  ter  c.c.,  cioè  con  decisione  autonoma,  senza  che  sia  domandata  da  uno  dei  genitori)  la  decadenza  della responsabilità  genitoriale  o  l’allontanamento  del  genitore  immeritevole  o,  se  lo  sono  entrambi,  l’allontanamento  della  prole  dalla  residenza familiare  (art.  330  c.c.)  disponendo  l’affidamento  familiare  (agli  ascendenti,  ad  altre  famiglie  affidatarie,  ai  servizi  sociali)  e  nominando  per essa un tutore. 

I figli  maggiorenni  hanno  la  capacità  di  agire  a  non  devono  essere  affidati  ai  genitori.  Nella  separazione, con  riferimento  ai  figli  maggiorenni,  deve  essere  definito  solo  il  tempo  della  loro  permanenza  presso  ciascun genitore.  Come   detto,   l’affidamento   determina   quindi   il   potere   di   assumere   le   decisioni   relative   alla   cura   degli interessi   della   prole   minorenne,   non   i   tempi   di   permanenza   dei   figli   presso   ciascun   genitore   (vedi   quarto paragrafo di questo capitolo) che devono essere separatamente stabiliti. L’attuale disciplina prevede due soli tipi di affidamento: quello condiviso e quello esclusivo.

AFFIDO CONDIVISO E AFFIDO ESCLUSIVO

L’affidamento  della  prole  conferisce  il  potere  di  prendere  le  decisioni  inerenti  alla  vita della prole minorenne. Uno  od  entrambe  i  genitori,  al  di  fuori  delle  rare  eccezioni  descritte  nel  paragrafo  precedente,  in  occasione della separazione, conseguono, nei modi sopra indicati,  l’affidamento della propria prole.

  • Quando  lo  conseguono  entrambi,  i  genitori  sono  detti  coaffidatari  e  l’“Affido”  o  “affidamento”  è  definito dalla    legge  “condiviso”.  In  questo  caso  il  potere  di  prendere  dette  decisioni  (chiamato  anche  “potestà  genitoriale” nella   previgente   disciplina   e   oggi   “responsabilità   genitoriale”)   viene   esercitato   paritariamente   da   entrambi   i coniugi.
  • Quando  lo  consegue  uno  solo  dei  due  si  ha  l’“Affido”  o  “affidamento”  esclusivo  e  il  potere  di  prendere  le decisioni  di  seguito  descritte,  inerenti  alla  vita  della  propria  prole  minorenne,  viene  esercitato  unicamente  da  un solo genitore detto affidatario esclusivo. Il  regime  di  affido  preferito  dal  legislatore  è  dalla  riforma  del  2006  quello  condiviso,  mentre  è  ancora  prevista la  possibilità  di  disporre  l’affidamento  esclusivo  a  favore  di  un  solo  genitore  per  motivi  particolari  (ad  es.  se  l’altro genitore è alcolista, tossicodipendente, maltratta i figli, ha pendenze penali, problemi psicologici etc.).

In  caso  di  affido  esclusivo  ad  uno  dei  genitori  non  tutte  le  decisioni  sono  rimesse  a  lui.  In  particolare,  le decisioni inerenti alla vita della prole sono distinte dalla legge (art. 337 ter c.c.) in ordinarie e straordinarie.

Le decisioni ordinarie

Cosa sono?  le  decisioni  “ordinarie”  sono  individuate  secondo  un  criterio  residuale:  esse  sono  tutte  le  decisioni  non definite  espressamente  dalla  legge  come  “straordinarie”.  (Sono  considerate  ordinarie  ad  es.  le  decisioni  che  si riferiscono  alla  determinazione  del  momento  in  cui  i  figli  devono  rientrare  a  casa  la  sera,  se  possono  fare  un viaggio o no, andare ad una specifica manifestazione o meno, il regime alimentare),

Chi le prende? Con  l’affido  condiviso,  le  decisioni  ordinarie  devono  essere  perse  dai  genitori  di  comune  accordo.  Se  manca l’accordo  dei  genitori,  queste  vengono  prese  dal  giudice  (art.lo  337  ter  c.c.,  comma  terzo).  Per  limitare  il  ricorso  al tribunale  in  caso  di  disaccordo,  l’art.  n.  337  ter  c.c.,  comma  terzo  prevede  che:  “limitatamente  alle  decisioni  su questioni  di  ordinaria  amministrazione,  il  giudice  può  stabilire  che  i  genitori  esercitino  la  responsabilità  genitoriale separatamente”.  Cioè  è  possibile  stabilire  (dai  coniugi  nella  separazione  consensuale  omologata  dal  giudice,  o  dal giudice    stesso    nella    giudiziale),    che    ogni    genitore    prende    le    decisioni    di    ordinaria    amministrazione autonomamente quando i figli stanno con lui.

  (L’art.  337  ter  c.c.  comma  terzo  stabilisce  che  con  l’affido  condiviso  la  responsabilità  genitoriale  è  esercitata  da  entrambe  i  genitori.  Tale  articolo  prevede anche   che   “Limitatamente   alle   decisioni   su   questioni   di   ordinaria   amministrazione,   il   giudice   può   stabilire   che   i   genitori   esercitino   la   responsabilità   genitoriale separatamente”,  cioè  che  prendano  in  modo  disgiunto  le  decisioni  relative  all’ordinaria  amministrazione.  A  contrario,  si  ricava  che,  salva  diversa  disposizione  del giudice, con l’affido condiviso, le decisioni ordinarie devono essere perse dai genitori di comune accordo).

Con  l’affido  esclusivo  invece,  le  decisioni  ordinarie  vengono  sempre  prese  in  piena  autonomia  dal  solo genitore affidatario esclusivo (art. 337 quater c.c.).

(Tale  previsione  ricalca  la  previgente  disciplina  [1975-2006]  che  prevedeva  che  “il  coniuge  a  cui  sono  affidati  i  figli  (affido  esclusivo)  ha  la  potestà  esclusiva  su  di essi” [art. lo 155 co. 3 c.c. previgente normativa] e dunque prendeva da solo, in assoluta autonomia, le decisioni inerenti l’ordinaria amministrazione).

Le decisioni straordinarie

Cosa sono? Le decisioni c.d. “straordinarie” sono quelle elencate tassativamente dalla legge (art.lo 337 ter c.c., comma terzo). Sono straordinarie le decisioni “di maggiore interesse” relative a:

  1. l’istruzione (ad es. quale scuola i figli devono frequentare),
  2. l’educazione, (es. il modus educandi, le frequentazioni),
  3. la salute (ad es. se dovranno sottoporsi ad una specifica operazione chirurgica o meno),
  4. la scelta della residenza abituale del minore,(Alcuni tribunali considerano le decisioni inerenti al regime alimentare come di tipo straordinario poiché possono reagire sulla salute della prole).

Chi le prende? Le  decisioni  “straordinarie”  devono  essere  prese,  salvo  diversa  disposizione  del  giudice,  sia  in  caso  di  affido condiviso  (art.lo  337  ter  c.c.,  comma  terzo),  sia  in  caso  di  affido  esclusivo  (art.  337  quater  c.c.  terzo  comma),  di  comune  accordo tra i genitori. Se manca l’accordo, dal giudice. 

A CHI VIENE AFFIDATA LA PROLE IN CASO DI SEPARAZIONE DEI CONIUGI?

Dal  1975  al  2006  La  prole  dei  separati  veniva  affidata  esclusivamente  al  genitore  più  meritevole,  che  il giudice  individuava  -questo  è  il  dato  statistico-  nella  misura  del  93%  dei  casi  nella  persona  della  madre.  Ciò, fondamentalmente,  perché  esiste  una  letteratura  scientifica,  nota  ai  giudici,  che  afferma  che  la  madre  è  il  genitore più  naturalmente  disposto  alla  cura  dei  figli  e  perché  era  frequente  il  caso  della  madre  casalinga  che  aveva  più tempo  da  dedicare  ai  figli  onde  sarebbe  stato  inopportuno,  perché  foriero  di  ulteriori  liti,  conferire  i  poteri decisionali  sui  figli  all’altro  coniuge  con  il  quale  i  figli  stessi  passavano  in  realtà  poco  tempo.  Esisteva  anche l’istituto dell’affido congiunto che, per i motivi detti, era poco utilizzato.

La  legge  di  riforma  del  2006,  ha  stabilito  invece  che  il  regime  di  affido  ordinario  è  l’affido  condiviso.  Detto regime,  come  descritto  nel  paragrafo  precedente,  conferisce  pari  poteri  ai  coniugi  in  ordine  alle  decisioni  ordinarie (e straordinarie) inerenti alla vita dei figli.

È  rimasta  nella  nuova  disciplina  la  previsione  dell’affido  esclusivo  (art.  337  quater  c.c.)  che  il  giudice  dispone quando  rileva  che  uno  dei  due  coniugi  presenta  caratteristiche  che  sconsiglierebbero  la  disposizione  dell’affido condiviso.  Si  pensi  ad  es.  al  caso  in  cui  uno  dei  due  genitori  è  tossicodipendente  o  alcolista,  con  pendenze  penali  o problemi psicologici. In questi casi la prole, anche oggi, viene affidata esclusivamente all’altro. L’affidamento non determina la collocazione temporale dei figli presso ciascun genitore. 

COLLOCAZIONE TEMPORALE DELLA PROLE PRESSO I GENITORI SEPARATI

Tra  il  1975  e  il  2006  la  prole  veniva  collocata  presso  il  coniuge  affidatario  esclusivo.  All’altro  coniuge  veniva riconosciuto  il  cosiddetto  “diritto  di  visita”,  cioè  la  facoltà  di  vedere  e  tenere  con  se  la  prole  per  un  periodo  di tempo  determinato,  che  in  genere  corrispondeva  a  poche  ore  durante  la  settimana.  Tra  il ‘75  ed  il  2006  si  è  notato che  la  prole  di  una  coppia  separata  tendeva  a  formare  un  carattere  che  appariva  essere  una  clonazione  di  quello del  coniuge  affidatario  esclusivo  con  il  quale  la  prole  esclusivamente  conviveva.  In  sostanza  se  la  prole  osservava le  reazioni  ai  casi  della  vita  del  solo  genitore  con  il  quale  passava  la  quasi  totalità  del  tempo,  finiva  per  riprodurre le  stesse  reazioni,  duplicando  la  personalità  di  quel  genitore  con  conseguenze  potenzialmente  pregiudizievoli  per la prole che ne assorbiva anche gli eventuali difetti caratteriali.

Pertanto  il  legislatore  nel  2006  ha  riformato  il  diritto  di  famiglia  stabilendo  che  la  prole  stessa  ha  il  diritto  di “mantenere  un  rapporto  equilibrato  e  continuativo  con  ciascuno  dei  genitori”  (art.lo  337  ter  c.c.)  e  addirittura  “di conservare  rapporti  significativi  con  gli  ascendenti  e  con  i  parenti  di  ciascun  ramo  genitoriale”  in  modo  da  mostrare alla  prole  le  reazioni  non  solo  di  entrambe  i  genitori  ai  casi  della  vita,  ma  di  più  persone  ed  evitarle  il  problema sopra descritto.

Con  la  riforma  la  prole  viene  collocata  non  presso  un  solo  genitore  ma  presso  entrambi  i  genitori  per  un tempo  che  dovrebbe  essere  tendenzialmente  di  pari  entità.  (Nella  prassi,  per  evitare  al  minore  un’interruzione drastica  delle  proprie  abitudini,  il  tempo  di  permanenza  della  prole  presso  ciascun  genitore  non  viene  mai  diviso in  periodi  di  entità  esattamente  uguale  ma  viene  ancora  individuato  il  c.d.  genitore  collocatario  prevalente,  cioè un  genitore  che  passa  più  tempo  dell’altro  con  la  prole,  anche  se  la  divergenza  tra  il  tempo  che  la  prole  passa  con l’uno e l’altro dei genitori è drasticamente ridotta rispetto al periodo precedente la riforma). L’individuazione del collocatario prevalente ha rilievo per determinare l’assegnazione della casa coniugale.

COLLOCAZIONE TEMPORALE DELLA PROLE NEI PRIMI ANNI DI VITA

Per  il  fatto  che  esiste  una  letteratura  scientifica  che  afferma  che  le  donne  sono  più  naturalmente  disposte alla  cura  dei  figli  rispetto  agli  uomini,  per  evitare  loro  un’interruzione  drastica  dell’intenso  rapporto  biologico  con la  madre  che  ha  la  prole  neonata  e  delle  relative  abitudini  maturate  con  la  figura  materna  nei  primi  anni  di  vita,  se i  figli  sono  ancora  molto  piccoli,  la  collocazione  prevalente  della  prole  viene  riconosciuta  in  genere  ancora  oggi alla madre.

(Ciò,   come   sopra   detto   sui   criteri   per   determinare   l’affidamento   della   prole,   in   assenza   di   circostanze, individuate   dalla   giurisprudenza,   che   sconsiglino   tale   soluzione:   madre   tossicodipendente   /   alcolizzata   / pregiudicata / afflitta da problemi psicologici / condannata per maltrattamenti a carico della prole).

POSSO AVERE LA COLLOCAZIONE PREVALENTE DEI FIGLI PRESSO DI ME SE NON HO RISORSE PER MANTENERLI?

Si.  Per  il  fatto  che  il  giudice  può  spostare  le  risorse  familiari  da  un  coniuge  all’altro  con  lo  strumento  degli assegni  di  mantenimento  e  dell’assegnazione  della  casa  coniugale,  il  patrimonio  e  le  facoltà  reddituali  di  un coniuge  non  reagiscono  in  alcun  modo  sulla  individuazione  operata  dal  giudice  della  persona  meritevole  della collocazione prevalente della prole.

 Addirittura,  sotto  la  previgente  disciplina,  la  prole  veniva  quasi  sempre  affidata  e  collocata  prevalentemente presso  il  coniuge  (la  madre)  che  in  genere  aveva  meno  risorse  proprie  per  mantenerla.  Anche  oggi  la  redditualità dei  coniugi  non  ha  rilievo  né  nella  determinazione  del  tempo  di  permanenza  della  prole  preso  i  genitori,  né  nella determinazione  dell’affidamento.  Se  il  coniuge  meritevole  della  collocazione  prevalente  della  prole  è  il  meno abbiente,  come  detto,  il  giudice  gli  assicura  adeguate  risorse,  ponendo  a  carico  dell’altro  genitore  un  assegno  di mantenimento e ove ne ricorrano i presupposti, assegnando allo stesso la casa coniugale.

POSSONO DECIDERE I FIGLI CON QUALE GENITORE VOGLIONO VIVERE?

I  figli  minorenni  non  hanno  la  c.d.  “capacità  di  agire”  e  non  possono  vincolare  il  giudice  ad  emettere  un provvedimento  che  rispetti  i  loro  desideri.  Si  pensi  al  caso  di  una  madre  casalinga  onesta  ed  integerrima  e  di  un padre  ricco  narcotrafficante  che  compra  ai  figli  il  motorino,  il  telefonino  top  di  gamma  e  costosi  regali  di  ogni tipo.   Se   i   figli   fossero   interrogati   dal   giudice   circa   il   genitore   con   il   quale   volessero   vivere,   probabilmente chiederebbero  di  essere  collocati  presso  il  padre,  per  assicurarsi  i  costosi  regali  che  offre  loro.  In  questo  caso ovviamente  il  giudice  affiderebbe  e  collocherebbe  invece  i  figli  esclusivamente  presso  la  madre,  cioè  disporrebbe –nel  loro  interesse-  esattamente  il  contrario  della  volontà  espressa  dai  figli  al  giudice.  Quantunque  la  prole minorenne  non  abbia  la  possibilità  di  decidere  sul  proprio  affidamento  viene  ascoltata  dal  giudice  se  maggiore  di anni  12  ed  anche  i  figli  infra-dodicenni  possono  essere  ascoltati  dal  giudice  se “capaci  di  discernimento”  (art.  337 octies  c.c.).  Lo  scopo  di  questa  audizione  è  l’assunzione  di  informazioni  per  determinare  l’affido,  non  essendo vincolanti, come appena detto, per il giudice i desideri della prole minorenne.  

Con   la   maggiore   età   i   figli   possono   decidere   autonomamente   cosa   fare,   anche   abbandonare   la   casa   di entrambi  i  genitori.  Se  entrambi  i  genitori  separati  vogliono  accoglierli  nella  propria  abitazione  la  prole  stessa maggiorenne  può  decidere  con  quale  dei  due  genitori  vivere.  Se  i  genitori  separati  non  vogliono  avere  i  figli maggiorenni  presso  la  propria  abitazione,  sono  obbligati  a  procurargliene  un  altra,  fino  al  termine  del  diritto  al mantenimento.

POSSO DISATTENDERE IL PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE SULL’AFFIDO DEI FIGLI ?

Il  provvedimento  del  tribunale  o  quello  che  conclude  la  separazione  con  negoziazione  assistita  detta  anche regole, che i coniugi sono obbligati a rispettare, sulla gestione dei figli. Come  detto,  la  funzione  di  tale  provvedimento  è  infatti  anche  quella  di  sollevare  i  coniugi  dalla  necessità  di accordarsi  quotidianamente  sulla  gestione  dei  figli  in  un  momento  in  cui,  per  il  fatto  delle  liti  che  li  hanno  indotti a separarsi, non sono più in grado di farlo. Il  provvedimento  si  sostituisce  ai  coniugi  nel  determinare  chi  prende  i  figli,  quando,  la  misura  del  contributo economico  al  loro  mantenimento  etc.,  per  evitare  che  i  coniugi  possano  continuare  le  liti  a  causa  del  disaccordo  su tali  punti.  Evidentemente,  se  il  rispetto  del  contenuto  del  provvedimento  potesse  essere  disatteso  da  uno  dei coniugi, perderebbe del tutto lo scopo per cui è previsto dall’ordinamento. Proprio  perché  il  provvedimento  serve,  inter  alia,  a  risolvere  il  problema  del  disaccordo  sulla  gestione  dei figli,  la  Legge  prevede  che  ove  invece  i  coniugi  riescano  ad  accordarsi  su  tale  gestione,  gli  stessi  possano  derogare al  contenuto  del  provvedimento  (limitatamente  alla  disciplina  dei  rapporti  personali,  non  a  quella  dei  rapporti patrimoniali).  Ad  es.,  se  il  provvedimento  prevede  che  il  padre  debba  vedere  e  tenere  con  se  i  figli  il  giovedì,  è ammesso  che  i  coniugi  di  comune  accordo  stabiliscano  che  invece  li  prenda  il  venerdì.  Se  manca  o  viene  meno l’accordo  dei  coniugi,  deve  invece  essere  rispettato  il  dettato  del  provvedimento  perché  questo  possa  esplicare  la sua funzione sopra descritta.